La mia intervista per la rivista “la bottega del coach”
Ciao Marina, vuoi presentarti, dire qualcosa di te e della tua vita artistica?
Mi chiamo Marina Remi e ho sempre fatto l’attrice nella vita. Mi sono avvicinata al coaching per motivi personali e ho trovato nella metodologia che utilizza Gabriele Baroni una grandissima risorsa che mi ha risuonato fortemente. Ho cominciato ad esplorare questo mondo fino a che esso si è fuso con l’altro mio mondo di interprete e da questa unione è nata una terza professione che, appena nata, sta prendendo la sua identità.
Quindi vedi questa nuova strada come una professione ulteriore?
No, non vedo separazione. Proprio per questo dico “terza”, perché questa nuova strada unisce, sostiene e compensa le altre due. C’è sia la recitazione sia il coaching, ma è un’entità a sé, che sta sbocciando nella sua forma un po’ unica. È un continuo processo di trasformazione che mi sta molto appassionando.
Vuoi parlare un po’ di questo progetto o è ancora in fase embrionale?
È in fase embrionale, ma ne parlo con enorme piacere. Il mio progetto si chiama “Umanauta”. Mi sono resa conto che sia il lavoro artistico di creazione del personaggio sia le dinamiche e le tecniche di palcoscenico sia il lavoro dell’attore su se stesso trovano una forte risonanza con il coaching. Inoltre ho visto anche che le tecniche, che sono un mestiere, che compongono l’allenamento dell’attore, possono dare un grandissimo sostegno alle persone, se si esce dalla logica della creazione in termini di finzione. Quindi fare emergere, grazie al personaggio, aspetti di sé che non si sapeva di avere, come nel concetto di figura/sfondo della metodologia della Gestalt. Cosa porto avanti? Aspetti di me che grazie al personaggio indago.
Ti rivolgi alle persone che fanno l’artista o alle persone che vogliono esplorare se stesse attraverso qualcosa che non fa parte della loro vita?
Decisamente quest’altra cosa, “la seconda che hai detto”, nel senso che io non faccio la coach agli attori o agli artisti, e quindi offro degli strumenti che vengono dal mio mondo artistico alle persone; non è un approfondimento del lavoro dell’attore, ma del lavoro della persona su se stessa a prescindere dalla sua professione, per riscoprire talenti, creatività, vocazioni e valorizzare la propria vita.
Quindi per te cosa significa essere coach?
Per me essere coach significa abbracciare le persone e cercare di aiutarle a sbocciare nella loro unicità, a splendere, prenderle per mano e accompagnarle nel processo.
E cosa vuole dire per te essere un’artista?
La cosa che mi ha riempito di stupore, perché forse è stupore la parola chiave, è che mi sono resa conto che come artista in realtà ero un’interprete, mentre come coach tiro fuori più creatività: quindi paradossalmente è molto più artistico quello che faccio col coaching che non quello che faccio come attrice, ambito in cui in realtà presto la mia professionalità al servizio della creatività altrui e quindi sono un’artigiana, un’interprete. Posso essere molto più artista facendo il coach che non facendo l’attrice.
Quindi ti senti più un coach attore che un attore coach?
Né l’uno né l’altro: “Umanauta” e comunque, attrice, al femminile.
“Umanauta”, un po’ come dire un’astronauta dell’Umanità?
Esatto: esploratrice dell’essere umano, dell’indagine, perché sia come attrice sia come coach quello che mi interessa è indagare l’animo umano e coglierne la bellezza, il potenziale inespresso.
Hai altri progetti in corso in questo momento oltre “Umanauta”?
Ho un progetto per dare una cornice storica e metodologica a questo mio nuovo percorso, per interesse personale, ma anche per serietà professionale: mi sono iscritta all’Università. Scienze e tecniche psicologiche. Sono una studente e questo progetto mi rimette in gioco “umanautamente” a più livelli. Poi sì, c’è sempre il mio lavoro di attrice, però diciamo che “Umanauta” vorrei che prendesse altrettanta importanza nel mio percorso professionale.
Se tu definissi con un titolo di un film la tua vita artistica che titolo le daresti?
Non mi viene la risposta, ma mi vengono degli ossimori. Proprio ieri, sfogliando in libreria il libro di Leo De Berardinis (che è stato un grandissimo regista italiano scomparso un po’ di tempo fa) “La Bellezza Amara”, ho detto: “guarda, è proprio un po’ così che sta andando: c’è una rivoluzione gentile, una bellezza amara, c’è una forza, una grazia potente”. Ecco, il titolo del film della mia vita artistica non lo conosco, ma quando lo troverò sarà sicuramente un ossimoro.
C’è una scena che, se tornassi indietro, faresti diversamente o che vorresti rivivere?
Non mi pento di niente e mi pento di tutto. Io rifarei tutto, ma non perché giudico sbagliato quello che ho fatto, ma per testare altre opportunità, per cambiare le priorità in vari periodi della mia vita: chissà cosa sarebbe stato se avessi anteposto l’amore al teatro per un periodo della mia vita? Poi mi sforzo veramente di stare nel presente e questa è una grande sfida. Quindi, grazie per gli insegnamenti che ho tratto dalla vita, ma non voglio mai dimenticarmi che la scena più importante è quella che sto vivendo in questo momento.
Hai un sogno nel cassetto?
Questa è una domanda che mi piace tantissimo, perché io proprio non ho i cassetti. Se avessi un cassetto lo aprirei subito. Mi piace buttarmi, non lasciare cose intentate. E mi sto rendendo conto che una delle mie caratteristiche è proprio questa: di aprire i cassetti delle persone, di autorizzarle ad avere il coraggio di aprire quel cassetto. Grandi mensole per tutti con oggetti a vista, così puoi scegliere se tenerli o meno, senza avere nessun tipo di nascondiglio per appunto porti la domanda: “Posso concedermi di vivere quella scena?”. Sì! Apri il cassetto e vivila, magari non ti piace. Il sogno nel cassetto poi diventa un mito inaffrontabile. Tiriamo fuori il Minotauro immediatamente!
Allora, niente cassetti e seguiamo il flusso?
Sì, seguiamo il flusso e creiamo disordine! Prendi il cassetto, svuotalo sul tappeto. Scegli cosa rimane e mettilo bene lì in vista e tutto il resto buttalo via!
Vuoi dire qualcos’altro di te?
Rispetto al mio percorso di “Umanauta” mi piacerebbe moltissimo poterlo sviluppare anche on line. Sto lavorando affinché io possa offrire questa mia competenza per dare valore alle persone anche tramite la rete, perché mi piace la rete e voglio fare la mia parte in questo momento in cui sembra un posto per pazzi scatenati ed arrabbiati. Invece no. E allora portiamo questa rivoluzione gentile, portiamo questa bellezza impertinente o amara – però la bellezza, il valore.
Hai un consiglio da dare come artista coach, come “Umanauta”, agli altri coach?
Non ho grandi consigli da dare agli altri. Se parliamo di coach in generale vedo molti coach che sono legati alla performance. Mentre non è detto che l’obiettivo che tu ti sei posto sia poi veramente la nota che la tua vita deve suonare. Quindi si deve rimanere in questa apertura, in questo ascolto. Non direzionare la performance, ma lasciarsi stupire da ciò che emerge. Io non avrei mai pensato di fare “Umanauta”. Se fossi rimasta ancorata ad un’idea di performance, sarei a fare incontri con i registi, provini, perché io ero un’attrice e quindi l’obiettivo era quello. Invece, avendo fatto questo percorso, sono emerse altre cose: un desiderio di offrire agli altri, di offrire valore, un aspetto ancor più artistico. Torna sempre lo stupore, l’essere presenti ma abbandonarsi. Ecco un altro ossimoro: l’abbandono presente. Quindi se potessi dare un consiglio sarebbe questo: lasciarsi stupire da ciò che accade veramente. Valorizzare ciò che c’è. Che è la stessa cosa che poi affascina quando tu vai al cinema o a teatro: apprezzi un’opera se accade veramente qualcosa, non se si esegue bene un processo. Lo stesso nella vita quotidiana. Rispetto ai copioni, ai personaggi che ci impongono e ci imponiamo, è proprio interessante il lavoro di sceneggiatura che si può fare della propria vita, di reinterpretazione.
Quindi reinterpretiamo e abbandoniamoci?
Abbandoniamoci. E siccome siamo tutti attori, che ne siamo consapevoli o meno, facciamo dei bei film delle nostre vite. Facciamo dei film ben recitati e godibili, autentici!
Per sbocciare nella vita quotidiana, nella propria unicità, vieni alla ribalta!
Intervista a cura di Stefania Panaro, wine coach, per APICA coach, Talent edizioni