uno spettacolo di: Claudio Collovà
una coproduzione: Coop. Teatrale Dioniso Palermo / Teatridithalia Milano da The Waste Land di T.S. Eliott
raduzione di Alessandro Serpieri
con: Claudio Collovà, Paola Lattanzi, Alessandra Luberti, Simona Malato, Giuseppe Massa, Alessandro Mor, Giacco Pojero, Rori Quattrocchi, Marina Remi, Nino Vetri
scene: Antonio Micciché coreografia: Alessandra Luberti musiche: Giacco Pojero e Nino Vetri luci: Nando Frigerio costumi: Paola Basile
Quelle torri crollanti continuano ancora oggi a schiantarsi al suolo. La parola profetica di Eliot non è mai sembrata tanto reale quanto oggi. Forse gli americani la riesumeranno dagli scantinati.La Waste Land del presente ci riporta a rileggere storditi queste pagine, quale civiltà potrà risorgere dalle nostre macerie?Ho scelto di lavorare a La terra desolata perché, oltre ad essere l’opera poetica più grande e discussa del novecento, da sempre, fin dalla prima lettura risalente ai miei studi universitari di anglista, l’ho ritenuta un luogo affollato di personaggi teatralmente vivi, rappresentabili concretamente sullo spazio scenico. Non oggetti ineffabili, ma strumenti adatti a raccontare la normale esperienza umana. Per comprendere appieno il significato simbolico dell’opera sarebbe necessario far riferimento almeno a Ovidio, Dante, Chaucher, Shakespeare, Il ramo d’oro di Frazer e Il paradiso perduto di Milton, l’opera monumentale Ritual to Romance di Jessie Weston e i miti e i riti legati alla leggenda del Santo Graal. La terra desolata è, infatti, piena di citazioni, ma a me sembra che la forza dirompente di un carico immaginativo così denso abbia il merito di sopravvivere anche ad una percezione meno colta e cosciente, che conceda con coraggio ai sentimenti la precedenza sui propri pensieri, producendo’una particolare liberazione della volontà’ (Richards). Credo che questo possa anche essere il compito del teatro e dell’arte in genere.Il senso de La terra desolata, come si può intuire dal titolo, è l’incapacità di rigenerarsi della vecchia e attuale società occidentale in cui il bagaglio culturale è soltanto qualcosa di vecchio e inutile, la religiosità affoga tra superstizioni e convenienze, e l’unico culto è quello del piacere immediato, la parola ha perso significato e i dialoghi sono spesso futili e privi di comunicazione.Oggi più che mai, inoltre, all’inizio di questo secolo, la contemporaneità dell’opera è altissima e purtroppo è immutata nel tempo nei suoi aspetti più tristemente profetici.L’elemento drammatico è presente nella poesia di Eliot nella galleria di personaggi in azione o, come nel caso della Sibilla Cumana, nell’immobilità eterna, nei ritratti vivi e realistici della Dattilografa e dell’Impiegato foruncoloso, della chiaroveggente Madame Sosostris, dell’Oste, di Sweeney, delle donne del pub londinese, delle coppie di amanti sterili, di Tiresia, testimone dello sfacelo odierno, per citarne solo alcuni: ritratti anche brevi, frammentari e impersonali che riflettono un mondo di solitudine o che presentano frammenti d’esistenze quotidiane molto sintetizzate con segni quasi unicamente pittorici, in un ambiente e in un’atmosfera di degradazione e di dissociazione morale cui la nostra realtà contemporanea ci ha ormai abituato. Questa è forse la più grande motivazione del mio progetto: La terra desolata parla di ciò che accade oggi e lo racconta nell’unico modo possibile, con una sorta di zapping ante litteram.Il mio interesse è rafforzato quindi dalla particolare struttura del poema, la cui organizzazione può essere chiamata, per analogia, musicale. Teatralmente, ma solo apparentemente, sembra non mostrare alcun sviluppo ed è quindi di grandissimo interesse anche per una sperimentazione che riguarda il metodo compositivo di un teatro libero, emotivo, non strettamente riproduttivo o narrativo.Claudio Collovà
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